Generazione Z: responsabilità individuale e reti di responsabilità

Oggi necessarie una media education e una media literacy che includono diverse competenze: coscienza critica, mediologia (conoscenza dei vari sistemi di comunicazione di massa e dei loro effetti nella società), capacità d’uso (la ricezione da parte di un utente e la possibilità di migliorarsi attraverso gli strumenti digitali), creatività (produrre contenuti e messaggi originali).

Pensare che i media siano soggetti educativi autonomi e alternativi all’uomo, dimenticando che soltanto la nostra per­sonale coscienza dialogante genera comportamenti e azioni, è un pericoloso errore di prospettiva.

Dal punto di vista etico, possiamo sintetizzare così la nostra interazione coi media: a) centralità del soggetto morale: «I media sono una proiezione dell’autonomia etica dell’umanità che, in quest’ottica, si ridefinisce come “umanità mediale”, ossia persone che agiscono nella mediazione, che sono me­diali» (M. Padula); b) prendere in considerazione il digital divide, cioè il divario che esiste tra digitali ricchi e poveri, tra chi ha accesso alle nuove tecnologie, all’informazione globale e chi ne è escluso – totalmente o in parte – per una serie motivi: istru­zione, infrastrutture, nazionalità e così via; c) recuperare la piena capacità educativa dell’umanità: la socialità, la relazio­nalità, la fantasia, la prospettiva dalla quale noi e gli altri os­serviamo il mondo, soprattutto per non cadere nella trappola dell’invidia, dell’ira, dell’odio e della violenza.

Senza sottovalutare ciò che insegnano le neuroscienze quando parlano del fenomeno della neuroplasticità, cioè la proprietà del sistema nervoso di aumentare o ridurre i legami sinaptici tra i neuroni rispetto agli stimoli ambientali. In parole semplici, la neuroplasticità consente al nostro sistema nervoso di rimodularsi in ogni ambiente, anche in quello di­gitale, cambiando la sua morfologia strutturale e le proprie funzioni. Di quanta neuroplasticità è dotato il nostro cervello?

«Da studi recenti [...] pare che ben il 70% delle connessioni sinaptiche cambi ogni giorno. [...] La nostra mente, dunque, risulta essere tutt’altro che immobile o statica. Essa è in pe­renne mutamento. [...] In perenne formazione perché in pe­renne adattamento evolutivo interagendo con l’ambiente na­turale e artificiale. Tale interazione condiziona – sia in senso positivo che negativo – sentimenti, percezioni, azioni e desi­deri dell’essere umano» (P. Floretta).

È evidente che esiste un problema legato all’educazione digitale delle giovani generazioni: le relazioni oggi sono ec­cessivamente virtuali, superficiali rispetto ai concetti di etica e prossimità. Ogni decisione morale, infatti, pur toccando il soggetto nella sua sfera più intima, possiede una tale forza pubblica da coinvolgere la catena di relazioni in cui vive.

All’interno di un rapporto, una persona dona se stessa, svi­luppa il proprio capitale umano, matura; e donando fa crescere anche il prossimo che incontra, aiutandolo a realizzare i propri talenti, a vivere i propri desideri. L’agire del singolo influisce sulla vita degli altri, visto che a caratterizzarne l’esistenza è l’in­terdipendenza. Per Maurice Blondel è «una strana illusione quella di credere [...] di farsi del male senza farne a nessun altro. [...] È un errore ingenuo immaginare che si possa mancare senza nuocere agli altri. [...] Ma allo stesso modo qualunque cosa fac­ciamo [...] farla bene significa compiere un servizio pubblico».

La Generazione Z nasce e vive, però, in un mondo wireless; i giovani hanno una vita e un’identità onlife: sono degli inforg (neologismo nato dalla combinazione di informational e organism).

Quali sono i percorsi da seguire per far sì che i nativi digitali si rapportino con una coscienza etica nella rete, nello spazio dove il funzionamento degli algoritmi si sottrae alla com­prensione degli stessi ingegneri che li hanno programmati?

Da tener presente anche un serio elemento antropologico: adolescenti e giovani considerano i Big Data e gli algoritmi delle autorità “sacre”, gli oracoli da interpellare per conoscere la “via della verità”; una volta ascoltato il “responso divino”, indirizzano le loro relazioni, modificano la percezione del principio di autorità e delle fonti attendibili.

L’attuale contesto tecno-umano moltiplica nelle nuove ge­nerazioni processi di «auto-validazione esistenziale. Rotti gli argini istituzionali e parentali, alla persona non resta che co­stituirsi autonomamente, rafforzare da sola la propria identità e personalità, cercando dove riesce e dove può quegli stru­menti che rafforzino l’immagine di sé.

L’infosfera [...] permette di farlo, o perlomeno si costituisce in sistemi che hanno l’apparenza di poterlo fare. Tuttavia [...] questo empowerment solitario è troppo fragile per reggere in modo consistente agli urti dell’esistenza» (L. Peyron).

Non è semplice affrontare questa realtà e scorgere soluzioni; ad esempio, quando nel web ci troviamo di fronte a situazioni complesse – in cui nemmeno noi adulti siamo in grado di identificare le autorità, i soggetti, gli oggetti, i soggetti altri e le norme predefinite – come possiamo intavolare un confronto con giovani fragili incentrando la nostra argomentazione sol­tanto sul concetto di responsabilità individuale?

Piuttosto rischioso anche attribuire ogni colpa al sistema, dimenticandoci delle responsabilità dei singoli membri. Quando la sfera è troppo ampia, occorre riconoscere una rete di responsabilità:

«Le reti di responsabilità escono dalle dimensioni abi­tuali e combinano diversi oggetti di responsabilità; si può parlare di reti di responsabilità quando non si sa più – proprio come nel caso di questi contesti – se si può parlare di responsabilità in senso pieno, proprio perché per esempio è difficile determinare il soggetto, non è chiaro quale sia l’autorità o non si riescono a de­finire i criteri normativi. In una rete di responsabilità le parti in causa svolgono funzioni diverse o talora occu­pano più di una posizione contemporaneamente: una volta sono i soggetti, un’altra volta sono le autorità e un’altra ancora l’oggetto e magari anche il soggetto altro di una responsabilità» (J. Loh).

Questo approccio non stravolge il concetto tradizionale di responsabilità: bisogna soltanto modificarne il livello d’inter­pretazione quando il contesto è sconfinato e complesso. Oggi la sfida etica della Chiesa è che ogni giovane sappia districarsi nel contesto delle reti di responsabilità: non sia schiavo di se stesso, del sistema, di autorità non definite, di soggetti altri spesso violenti, di IA con obiettivi persuasivi, ma sia in grado di esercitare pienamente la sua libertà per vivere una prossi­mità autentica. La Chiesa ha bisogno, però, di un upgrade, un aggiornamento in grado di interagire con la ricerca di fede di tanti giovani, di aprire un dialogo personale con ciascuno, di costruire una nuova forma di comunità che consideri l’im­portanza del cyberspazio, ma ancora di più l’incontro “dal vivo”, il faccia a faccia che crea pensiero: «Bisogna prendere coscienza che le nuove tecnologie [...] inducono a credere che si è meno isolati se sempre più connessi. Si tratta però dell’illusione di una reale intimità. Insieme ma soli. L’illusione di un mondo ipercon­nesso: ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sem­pre meno dagli altri! Per capire l’uomo, per comprendere il suo mondo, per crescere, per amare ed essere amati, bisogna incontrarlo dal vivo. La perdita della capacità di parlare faccia a faccia rischia di ridurre le capacità di riflessione» (G. Morante).


Giuseppe Pani 

Tutti contro uno. Un’intelligenza spirituale per staccarsi dalla folla degli haters. In dialogo con René Girard, Edizioni Sanpino, Pecetto Torinese (TO) 2022, 23-27.

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