L’esperienza umana è, oggi, in profonda crisi e trasformazione in relazione alla complessa e intricata collocazione dell’umano dentro le tecnologie digitali e artificiali di rete che operano – e questo è il punto chiave – sempre più separate e lontane dai modi umani della consapevolezza come l’attenzione, la percezione e la coscienza. E paradossalmente, mentre noi cerchiamo di replicare nelle macchine le nostre dinamiche sensoriali, le macchine ci stanno progressivamente allontanando proprio da quei processi. Mentre diciamo che le macchine non hanno coscienza, loro lavorano perché questa divenga irrilevante.
C. Accoto, Il mondo dato. Cinque brevi lezioni di filosofia digitale, Egea, Milano 2017.
Da quando l’essere umano ha assunto la posizione eretta ha liberato le mani, ha scritto simboli, sviluppato il linguaggio, accudito più a lungo i suoi piccoli dando loro un vantaggio competitivo. Tutto ciò ha fatto esplodere le nostre capacità cognitive. Ora stiamo delegando a Iasima[1] alcune funzioni cognitive, manuali e ripetitive. Noi vorremo che con sempre più dati e un basso costo del calcolo, tramite il cloud computing evitassimo di concentrarci sui nostri fini. Certo è che in un momento di confusione e incertezza crescente, pieno di dati da interpretare, delegare è la via più comoda, ma non è mai la soluzione.
Massimo Chiriatti, Incoscienza artificiale. Come fanno le macchine prevedere per noi, Luiss, Roma 2021.
[1] Termine con il quale l’autore indica la personificazione dell’intelligenza artificiale, un oggetto che si fa soggetto.
Per
iniziare a piangere dobbiamo darci per vinti, perdere il controllo, spesso
capitolare per gli altri: far prevalere in noi la sofferenza o la gioia del
prossimo.
Il copyright di sofferenze
e felicità altrui diventa sorprendentemente nostro: emozioni che versiamo,
facciamo fluire al di là di noi stessi.
Le lacrime prorompono dalle pupille e, allo stesso tempo, si spargono, si diffondono. Arrendendosi alle emozioni, si “estendono” per vocazione, escono sofferenti o felici dai nostri occhi per diventare universo: gocce che cercano sempre l’altro, soprattutto ciò che è assolutamente Altro.
Giuseppe Pani
Giuseppe Pani