Infocrazia. Le nostre vite manipolate dalla rete
In una domenica estiva, tra le meraviglie dei boschi della Sardegna, ho concluso la lettura di Infocrazia. Le nostre vite manipolate dalla rete, recente saggio del filosofo
Byung-Chul Han.
Il termine digitale rimanda chiaramente al dito (digitus). La cultura, l’informazione digitale si basano sul dito che conta: 100, 1000, 10000 like. La vita, invece, non è un "conto", ma un racconto. I post, i tweet, le informazioni dei media – diventati ormai strumenti del pensiero contrapposto – non creano spesso racconti, ma falsi racconti: fake news. Nemmeno ciò che sto scrivendo in questo blog è un racconto. Semplicemente integra ciò che penso e sono: la maggior parte di voi non mi conosce, non mi ha mai incontrato. Gli amici sui social sono soprattutto "contati": si è famosi e apprezzati in base al numero dei follower, dei like, delle condivisioni. Afferma
Byung-Chul Han: «Tutto è trasformato in qualche cosa di contabile. Così, tutto ciò che non è contabile cessa di essere».
Byung-Chul Han, Infocrazia. Le nostre vite manipolate dalla rete, Einaudi, Torino 2023.
Per quanto riguarda, poi, le “verità”, sbandierate e “contate” da ogni ideologia, il nostro Autore ricorda che la verità, «diversamente dall’informazione, non si ammucchia». Non esiste una mole di verità, esiste, invece, una mole di informazioni. Il sapere lo si trova raramente, l'informazione con grande facilità. Il sapere è raro e nasce da esperienze, conoscenze, sofferenze, relazioni personali, non esclusivamente dalla mitizzazione di un influencer, di un personaggio, di un partito, di una corrente, di un libro, di un giornale, di un video o di un post. Il sapere non è veloce, fugace, violento, fazioso come la comunicazione. Il sapiente porge il suo pensiero sempre con carità, attende il raccolto con la pazienza e la speranza di un contadino.
«La verità ha una temporalità completamente diversa dalle informazioni. Mentre le informazioni hanno un margine di attualità molto ristretto, la verità è caratterizzata dalla durata». La verità ci sforziamo di trovarla attraverso il dialogo, «gli argomenti possono essere migliorati nel processo discorsivo; gli algoritmi, invece, vengono continuamente ottimizzati nel processo meccanico».
Inoltre,
«le informazioni si diffondono senza passare dallo spazio pubblico». Sono confezionate
«in spazi privati e inviate a spazi privati. Così la rete non costituisce una sfera pubblica».
Quando, poi, i media focalizzano la loro attenzione su un determinato argomento con un volume esagerato, non proporzionato, di informazioni è perché desiderano nascondere qualcosa, non vogliono che si getti luce nel buio. Occupano ogni spazio dell'infosfera in modo che nessuno osi "demitizzare" i loro personaggi, leader di riferimento e pensieri di parte.
Contagiati da questi cattivi maestri, importanti media, "piccoli" blog o singoli influencer cattolici si sono adeguati. Sanno molto bene che la comunicazione che dimentica e omette alcuni valori o disvalori è sempre produttiva, genera business: aggiunge nuovi “mi piace” rispetto ai soliti. Si tratta, però, di una comunicazione che non informa, ma deforma.
Le uniche armi efficaci per vincere contro questa falsa comunicazione sono l'idiozia e l'eresia. L’idiozia, così come ci ha presentato Dostoevskij la figura dell’idiota, cioè l’incarnazione della bellezza morale, e l’eresia, intesa quest’ultima nel senso di scelta: «L’idiota come l’eretico è una figura della resistenza contro la violenza del consenso: egli conserva il fascino dell’outsider. Oggi, a fronte della crescente coercizione alla conformità, è più urgente che mai affinare la coscienza eretica».
Giuseppe Pani